Mentre nell’opinione pubblica ci si interroga sulle conseguenze dello smart working sulle abitudini delle persone, chi lavora nel settore IT sta verificando un fenomeno che nessuno (o quasi) si era aspettato. Se molte aziende stanno meditando di adottare la logica del lavoro flessibile come modalità normale di organizzazione, il secondo effetto di questo test “forzato” è una corsa all’aggiornamento delle infrastrutture aziendali.
Sono molte, infatti, le realtà che hanno dovuto affrontare grandi e piccoli problemi legati all’implementazione degli strumenti cloud o al semplice adattamento delle loro infrastrutture per consentire la connessione con strumenti software adeguati. In altre parole, tante (forse troppe) aziende si sono rese conto solo in quel momento che i loro sistemi erano diventati obsoleti. L’emergenza Covid, in quest’ottica, ha funzionato come una sonora “sveglia” per molte imprese che, come minimo, hanno realizzato di dover predisporre tutto il necessario per non farsi trovare impreparate nel caso di un’altra emergenza simile. In altri casi, però, l’esperimento ha semplicemente permesso di toccare con mano quali vantaggi offrono le tecnologie più avanzate e un’organizzazione del lavoro “smart”.
Il fenomeno, d’altra parte, ha una sua logica: fino a quando non si ha la necessità di interfacciarsi con altri ecosistemi, la prospettiva da cui si guarda alla propria organizzazione è inevitabilmente distorta. Anche se non ci si avvita necessariamente nella palude del “abbiamo sempre fatto così”, l’assenza di confronto con le tecnologie che si muovono al di fuori del perimetro aziendale si trasforma inevitabilmente in un freno per l’innovazione. Chissà che tutto questo ora non cambi.